
Oannes su un bassorilievo da Khorsabad -Illustrazione tratta da Brockhaus e Efron Jewish Encyclopedia (1906-1913) – Wikipedia, pubblico dominio
Un giorno, raccontano le antiche cronache babilonesi, dalle acque del Mare Eritreo emerse una creatura misteriosa: aveva il corpo di un pesce, ma sotto la testa marina nascondeva un volto umano e parlava con voce chiara e sapiente. Si faceva chiamare Oannes.
Ogni giorno Oannes usciva dal mare per insegnare agli uomini, ancora selvaggi e primitivi, le scienze, le arti, l’agricoltura, la scrittura. Li istruì sul vivere civile e lasciò un libro sull’origine del mondo. Al tramonto, tornava nelle acque, dove trascorreva la notte, poiché la sua natura era anfibia. Dopo di lui, apparvero altri esseri simili, gli Apkallu, i “sapienti del mare”, che completarono la sua opera.

Il dio pesce semitico Dagon. Disegno a linee colorate, apparentemente seguendo l’illustrazione in Illustrerad verldshistoria utgifven av E. Wallis di Ernst Wallis. volume I, 1875 – Wikipedia, pubblico dominio
Per alcuni studiosi, Oannes è una manifestazione del dio Ea (Enki), signore delle acque e della conoscenza. Ma altri, come il tedesco Ulrich Dopatka, leggono in questo mito un racconto di antichi “contatti”: Oannes, con il suo corpo di pesce, potrebbe rappresentare il ricordo deformato di una tuta anfibia o spaziale, e il suo nome, che in antico siriano significa “lo straniero”, rafforzerebbe l’idea di un messaggero celeste.
Echi di questa leggenda si ritrovano in culture lontanissime. I Maya veneravano Uaana, “colui che vive nell’acqua”; i Filistei adoravano Dagon, dio metà uomo e metà pesce; e gli antichi Egizi conoscevano figure anfibie legate alle acque primordiali della creazione.
Ma il mistero si fa ancora più profondo nel cuore dell’Africa, tra i Dogon del Mali, un popolo che conserva da secoli una cosmogonia straordinaria.
Secondo la loro tradizione, esseri anfibi chiamati Nommo discesero dal cielo in un’“arca rovente” proveniente dal sistema di Sirio. I Dogon affermavano che Sirio non è una stella singola, ma un sistema triplo, con una nana bianca invisibile, “Po Tolo”, che orbita intorno alla stella principale ogni 50 anni.
Una conoscenza scientificamente confermata solo nel XX secolo.
Gli stessi Dogon conoscevano gli anelli di Saturno, le lune di Giove, e sapevano che la Terra è sferica e ruota su se stessa. Tutto ciò senza telescopi, senza scrittura, senza contatti con la scienza moderna.
Nella loro mitologia, i Nommo insegnarono agli uomini il linguaggio, la tessitura e il ritmo del tempo, poi tornarono tra le stelle da cui erano venuti.
Simili ai “Figli dei Santi” descritti nel Libro di Enoch, questi esseri luminosi, metà dèi, metà maestri, incarnano l’archetipo universale del messaggero celeste: colui che porta la conoscenza agli uomini e scompare, lasciando un segno nella memoria dei popoli.

Incisione di un cilindro assiro, con Dagon, o il dio-pesce – Wikipedia, pubblico dominio
Il mito di Oannes e dei Nommo racconta il bisogno ancestrale dell’uomo di attribuire un’origine divina alla conoscenza.
Che si tratti di dèi del mare o di viaggiatori delle stelle, il loro messaggio è lo stesso: la sapienza nasce dall’incontro tra la terra e il cielo, tra ciò che è umano e ciò che trascende l’umano.
Nel volto ibrido di Oannes, nell’eco luminosa dei Nommo, si riflette ancora oggi il sogno più antico dell’umanità: non sentirsi soli nell’universo.
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