Pale è un’antica divinità italica, venerata lungo tutta la dorsale appenninica. Conosciuta dai Romani come Pales e dai popoli sanniti e osco-umbri con i nomi di Perna, Penna o Pelina, potrebbe rappresentare una versione meridionalizzata di Bale o Baleno oppure, al femminile, Belena, un’antica dea celtica, con cui condivide molti tratti.

Simon van de Passe – Paesaggio con la dea Pales (dea romana dei pastori, dell’agricoltura e della zootecnia), circondata da vari animali – Rijksmuseum Amsterdam – Wikipedia, immagine rilasciata con licenza CC0
Nel corso del tempo, Pale fu spesso identificata con Minerva, Bona Dea e Dea Dia, e fu venerata anche come Pale montana, Pale pastoria, Berenice Cibale Dea e Magna Pale, legata alla figura della dea Opi. Considerata protettrice dei confini, del mondo manifesto, dei pastori e dei pascoli, Pale incarnava l’equilibrio tra il selvatico e il coltivato. Era una dea profondamente legata alla terra e al fuoco, ma anche alla morte intesa come passaggio e rinnovamento. A lei si ricorreva per invocare purificazione, protezione, buon esito del parto e guarigione, sia per gli uomini sia per gli animali. Si ritiene avesse anche il ruolo di proteggere da incendi montani e da animali selvatici.
Il suo nome è associato alle baldorie pastorali, e la radice illirica paliti (“bruciare”) richiama i riti del fuoco. Durante le feste in suo onore, le Palilia, si bruciavano paglia e stoppie; da qui derivano anche i termini palia (paglia) e persino pallido, che potrebbe collegarla simbolicamente alla luna, alla purezza delle rocce e al concetto di morte e rinascita. Inoltre, il termine balzo (la roccia sporgente che da lontano appare come un “palazzo”) e lo stesso colle Palatino di Roma si legano al suo nome: per gli antichi, la roccia affiorante era una manifestazione del divino.

Joseph-Benoît Suvée – Festa di Pales, o L’estate – Museo delle Belle Arti di Rouen, Francia – Wikipedia, pubblico dominio
Il 21 aprile, giorno delle Palilia, si celebravano riti di purificazione per le greggi. Si accendevano mucchi di paglia disposti in fila e si facevano passare attraverso di essi gli animali e i pastori, che saltavano le fiamme. Era l’occasione per pulire stalle e ovili: il pastore spruzzava d’acqua il gregge, spazzava e ornava il recinto con fronde. Si andava poi al tempio di Vesta per procurarsi il suffimen, un composto organico che veniva bruciato sul fuoco sacro; quindi si saltava tre volte attraverso le fiamme e ci si aspergeva con acqua usando un ramo d’alloro. Questo rito, detto suffitio, era simile a quello usato per purificarsi dopo un funerale.
La sera si ripetevano le purificazioni con acqua e fuoco, si lavavano gli ovili, si ornavano pareti e porte con fiori e fronde, e si bruciavano zolfo, legni resinosi, ginepro e alloro. Si offrivano a Pale focacce di miglio, latte e cibi vegetali, distribuiti poi tra i presenti in un banchetto rituale. La preghiera rivolta a Pale, spesso associata a Silvano, veniva recitata quattro volte, guardando verso oriente:
“Benedici la mandria e perdona se a volte siamo entrati nei boschetti a te consacrati e, ignorando il tuo nome, abbiamo tolto foglie al ramo per una pecora malata; perdona se le bestie intorbidarono involontariamente l’acqua chiara della tua fonte.”
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