L’Ebreo Errante è una delle figure più enigmatiche e affascinanti della mitologia cristiana. Secondo la leggenda, si tratterebbe di un uomo, per lo più identificato come ebreo, che avrebbe colpito o deriso Gesù durante la sua salita al Calvario. Come punizione, Cristo gli avrebbe imposto di vagare incessantemente per la terra fino al giorno della sua Seconda Venuta.

L’Ebreo errante in una stampa popolare francese – Wikipedia, pubblico dominio

Nel corso dei secoli, il mito ha assunto molteplici volti. In alcune versioni l’Errante è un ciabattino, in altre un mercante, un ufficiale del Sinedrio o addirittura un romano, custode del pretorio di Ponzio Pilato.
Anche il suo nome varia: talvolta è chiamato Ahasverus, talaltra Giuseppe o Cartaphilus. Ma tutte le narrazioni concordano su un punto essenziale: la condanna a un’esistenza eterna, priva di pace, fino alla fine dei tempi.

Nel Medioevo, la leggenda dell’Ebreo Errante era largamente diffusa in Europa. Numerose cronache riportano il racconto di viaggiatori e religiosi che affermavano di aver incontrato questa figura misteriosa in Armenia, Polonia, Mosca, Londra e in molte altre città europee. Spesso descritto come un uomo stanco, penitente e desideroso di condividere la sua storia, l’Ebreo Errante veniva ospitato in cambio di un pasto frugale. Alcuni racconti giunsero a conferirgli un’aura di autenticità, con testimonianze raccolte da accademici e notabili locali.

Interpretazioni del mito non mancano.
Per alcuni, l’Ebreo Errante simboleggia la diaspora ebraica; per altri, rappresenta una punizione collettiva per la responsabilità attribuita agli Ebrei nella morte di Cristo.

L’Ebreo errante, illustrazione di Gustave Doré – Wikipedia, pubblico dominio

In chiave più allegorica, incarna l’umanità peccatrice e la sua indifferenza verso la sofferenza, oppure il tormento dell’individuo che prende coscienza del proprio errore troppo tardi.

Le prime attestazioni scritte risalgono al XIII secolo. Una cronaca anonima di un monaco cistercense del convento di Santa Maria di Ferraria, nel Regno di Napoli, riferisce che nel 1223 alcuni viaggiatori giunti dall’Armenia avrebbero incontrato un ebreo al quale Gesù aveva detto: “Io vado, e tu mi aspetterai fino al mio ritorno.”
Anche lo storico inglese Roger de Wendover, nelle sue Flores Historiarum, riporta nel 1228 la testimonianza di un arcivescovo armeno, secondo cui l’uomo errante, un certo Cartaphilus, era ancora vivo dopo aver assistito alla Passione. Convertitosi al cristianesimo, sarebbe stato battezzato con il nome di Giuseppe. Analoghi racconti si trovano nella Cronaca rimata del vescovo Philippe Mouskes di Tournai.

Nel corso del XIX secolo, la figura dell’Ebreo Errante conobbe nuova fortuna letteraria e artistica. Lo scrittore francese Eugène Sue pubblicò nel 1844 L’Ebreo Errante, uno dei più celebri romanzi sociali del secolo.

Prima pagina di L’ebreo errante (1844) di Eugène Sue (1804-1857) – Wikipedia, pubblico dominio

In quest’opera, arricchita dalle incisioni di Paul Gavarni, l’Errante diventa una figura mitica contrapposta al potere oscuro e manipolatore dei Gesuiti, nel contesto di un complotto per accaparrarsi una ricca eredità.

Anche nella letteratura americana il mito lasciò il segno. Nathaniel Hawthorne rievocò la figura in racconti come A Virtuoso’s Collection e A Select Party, inclusi poi nella raccolta Mosses from an Old Manse (1846). A differenza della versione tradizionale, l’autore americano dipinse l’Errante come un personaggio disincantato, quasi cinico, segnando un cambio di tono rispetto all’iconografia medievale.

L’artista Gustave Doré contribuì a fissarne l’immaginario visivo, realizzando nel 1856 una serie di eleganti xilografie ispirate alla leggenda.

Con il passare del tempo, gli avvistamenti dell’Ebreo Errante divennero sempre più rari e, a partire dal XIX secolo, furono spesso liquidati come invenzioni di ciarlatani o racconti di folli.

Tuttavia, il mito continua a sopravvivere come potente simbolo letterario e religioso: figura di colpa eterna, ma anche di consapevolezza tardiva e sete di redenzione.

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