Quasi a fugare ogni dubbio sul carattere autentico della sua maternità, Costanza imperatrice mise al mondo il suo primo e unico figlio sotto un tendone appositamente eretto nella piazza del mercato di Jesi. Era il giorno di S. Stefano del 1194.
Affidato appena possibile il piccino alla custodia della contessa di Spoleto, la madre si rimetteva in cammino alla volta di Palermo.

Nascita di Federico II a Jesi, in una tenda, secondo una «fantasiosa tradizione» dovuta a Ricordano Malispini (Dettaglio) – Wikipedia, pubblico dominio

Ma già quella nascita aveva messo il mondo a rumore.
Veniva dopo quasi nove anni di matrimonio infecondo, e per giunta da una donna quarantenne che oggi di­remmo matura e che per quei tempi era decisamente anziana, se non addirittura vecchia, ancor più come madre. Tanto che a tutti l’evento parve portentoso e come tale fu salutato da avversari e sostenitori dell’idea imperiale.
Annuncio di sventura per gli uni, presagio di gloria per gli altri.
Si ricordava la predizione del leggendario Mago Merlino secondo cui sarebbe risultata funesta la nascita inattesa di colui che, agnello da squartare, in mezzo ai suoi sarebbe stato leone furibondo. E fra le profezie famose del calabrese abate Gioacchino da Fiore c’era quella della donna fecondata a sua insaputa dal demonio, che avrebbe dato alla luce chi sarebbe divenuto si dominatore del mondo, ma sarebbe stato inoltre Anticristo, fuoco incendiario e fiaccola d’Italia.
Il motivo dell’Anticristo nato da una monaca messa incinta dal diavolo era del resto diffuso fra i guelfi: nel caso specifico l’avvalorava la falsa credenza, che pure Dante riprenderà e farà propria, d’una Costanza sottratta a forza al chiostro per le nozze aborrite.
Né mancava l’altra campana. Quella di Goffredo di Viterbo che saluta nel neonato il Salvatore, il futuro padrone del mondo destinato a unire finalmente l’Occidente e l’Oriente, come profetizzato dalla Sibilla Tiburtina. O quella di Pietro da Eboli che dalla famosa IV egloga virgiliana (per cui tanto si accesero le mistiche e fantastiche menti medievali), traeva motivo per cantare in toni esaltanti quella nascita provvidenziale.
Cosi, il fatto di per sé non comune del bimbo nato tardi e non più atteso, diviene subito argomento e pretesto degli auspici più controversi. Essi s’intrecciano attorno alla culla di chi avrà ricchezza di svariati appellativi: agnello fra i lupi e puer Apuliae, aquila e Cesare, stupor mundi e martello del mondo, per ricordare solo i più risaputi.

Quando gli muore il padre, Federico non ha ancora tre anni. L’imperatore l’aveva fatto eleggere l’anno prima re in Germania. Nel settembre 1197 suo zio, Filippo di Svevia, fratello d’Enrico VI, era in viaggio per venire a prendere il bambino e farlo incoronare in Germania. Raggiunto, in riva al lago di Bolsena, dalla notizia della morte del fratello, Filippo pensa bene di far dietro-front e ritornarsene da solo.

Se Enrico VI si era preoccupato di fare del figlio un tedesco suo pari, la madre aspira a farne un normanno di Sicilia come lei. Odiando i germanici che trova rozzi e violenti, crudeli e per giunta malfidi, Costanza imperatrice non sa che farsi dell’impero. Cerca invece di rimettere insieme, per il figlio, i cocci di quel regno normanno che la “bufera del furor nordico” (parole di Innocenzo III) ha sconquassato. L’impresa e l’opera dei normanni in Sicilia non erano state cosa da poco. Per primo era calato, chiamato da un emiro, un fratello minore di Roberto il Guiscardo, Ruggero, del quale si diceva che nemmeno il cavallo che cavalcava fosse suo, avendolo egli rubato. Era poi subentrato il figlio Ruggero II, che nel 1127 unisce nelle sue mani i domini pugliesi e siciliani degli Altavilla, ottiene il titolo di re e conquista Napoli.
Gli ordinamenti feudali vengono istituiti, ma non prevalgono finché durano gli Altavilla. Che anzi, lasciate intatte le basi economiche e sociali da essi trovate, i normanni si adoperano a seguire e sviluppare in Palermo, centro e capitale del regno meridionale, l’intelligente larghezza di vedute praticata, prima di loro, dai musulmani. In uno spirito di tolleranza inaudito per quei tempi, il meglio del passato e il meglio del presente si fondono e fioriscono a formare le fortune del regno.

Enrico VI e Costanza di Sicilia dal “Libro in onore di Augusto” di Pietro d’Ebulo, 1196 – Wikipedia, pubblico dominio

Decisa a salvare al figlio quell’eredità e ricostituirla come meglio può, Costanza si oppone risolutamente ai cavalieri germanici calati al seguito del marito che, tutto l’opposto dei normanni, sono inassimilabili oltre che inassimilati; respinge le pretese di Marcovaldo di Anweiler, esponente “ministeriale” che è stato un po’ il braccio destro d’Enrico VI e che s’avanza candidato alla vice reggenza, e licenzia in tronco quella gente. Conta, in quell’ardua impresa, su un potente alleato: il papa, un alleato che non man di rivelarsi anche esigente (come tutti i potenti alleati di questo mondo)

Intanto, nel suo vagabondare per le strade di Palermo, Federico, adolescente, si familiarizzò ben presto con gli aspetti più tipici della città. Essa aveva ricevuto grande impulso sotto gli arabi. Sorse allora la Kalsa, il nuovo quartiere contrapposto all’antico centro, il Cassero. La popolazione, stimata per la Palermo romana in trenta mila abitanti, sali a centomila. L’impronta alla città nuova fu poi data dai normanni, con le loro costruzioni. Fra queste è la Cuba che con la Zisa abbelliva l’immenso parco reale.

Ma torniamo agli intrighi; tranne temporanei annuvolamenti e qualche rovescio temporalesco più o meno grosso, le relazioni fra papi e normanni dell’Italia meridionale e di Sicilia si erano svolte serene. Costanza, poi, che il vecchio Clemente III aveva a suo tempo liberata dalla prigionia degli antagonisti d’Enrico VI prima che nascesse Federico, fa un po’ la figura di figlia prediletta di Santa Romana Chiesa. Nel 1198 sale al soglio pontificio, insolitamente giovane (era nato nel 1160) Lotario dei conti di Segni, papa Innocenzo III.
Anche i diciott’anni di regno (si tratti di sovranità temporale o spirituale, la continuità è un dato che ha la sua importanza) concorrono alla grandezza di questo papa. Ci toccherà più volte parlare di lui. Qui vogliamo tracciare schematicamente alcuni lineamenti del personaggio e dell’opera sua. Coltissimo e austero, studia a Parigi e Bologna, scrive trattati teologico-ascetici come il De contemptu mundi, e da pontefice si propone la difesa della fede dalle eresie, la riforma morale e disciplinare della Chiesa, la riconquista dei Luoghi Santi. Soprattutto, con lui il papa non è più soltanto vescovo di Roma e capo della Chiesa Romana, ma diventa esplicitamente il vicario di Cristo.

“Il Papa Innocenzo III” – affresco metà XIII secolo – Monastero del Sacro Speco di San Benedetto – Subiaco (Roma) – Wikipedia, pubblico dominio

Per tutto il Medio Evo, forte era stata la tendenza a riunire quelle che si era soliti chiamare “le due spade”, simboli l’una del potere temporale dei sovrani sopra i corpi e l’altra del potere spirituale dei pontefici sulle anime. Innocenzo III non dubita che a lui spettino tutte e due le spade, concedendo all’imperatore di usarne una, in quanto è advocatus Ecclesiae, il suo braccio secolare insomma.
Innocenzo dedicò la vita a tradurre in realtà e per lo meno in parte vi riuscì, le sue tesi di teocrazia, il regno di Dio in terra (e ovviamente, in assenza di Dio e per sua delega, il regno di colui che si proclama vicario di Cristo). Questo il potente alleato cui si rivolge l’indifesa Costanza. Da lui ha via libera perché, il giorno della Pentecoste del 1198, nel duomo di Palermo sia imposta con rito bizantino al piccolo Federico la corona del regno di Sicilia. “Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat“, risuona il grido che sarà poi il motto del sigillo imperiale. Rimasto pochi mesi dopo orfano anche della madre, il re fanciullo è affidato alla tutela del pontefice, del quale il regno di Sicilia è diventato vassallo.

Stralcio testo tratto da Sfruttiamo il web ( NB: pubblicato il 30/08/2012)

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