Prima che la guerra di Troia avesse inizio, le navi dei re greci restarono immobili per mesi nel porto di Aulide, bloccate da un silenzio innaturale: il mare era piatto, i venti muti.
Ogni giorno, Agamennone, comandante della flotta, scrutava l’orizzonte con crescente angoscia. Ma nessun soffio d’aria gonfiava le vele.

Anselm Feuerbach – Iphigenie (1862) – Wikipedia, pubblico dominio.
Per capire la causa di quella bonaccia interminabile, Agamennone convocò l’indovino Calcante.
Il responso fu terribile: Artemide, dea della caccia, era furiosa.
Anni prima, Agamennone si era vantato, dopo aver ucciso un cervo con un colpo perfetto, di essere più abile di lei nella caccia. Un’arroganza imperdonabile.
Ora, la dea chiedeva riparazione: se voleva che i venti tornassero a soffiare, doveva sacrificare sull’altare la propria figlia, Ifigenia.

Sacrificio di Ifigenia (I secolo d.C.), murale ritrovato a Pompei, ora nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ifigenia, figlia di Agamennone, viene portata di peso da Ulisse e Diomede al sacerdote Calcante, pronto a sacrificarla ad Artemide, il cui simulacro è a sinistra sulla colonna. Agamennone, completamente avvolto nel suo mantello, impotente di cambiare il volere degli dei, è racchiuso nel suo dolore. Intanto ecco arrivare dall’alto la dea Diana che salverà Ifigenia sostituendola con una cerva – Wikipedia, pubblico dominio.
Il dolore fu straziante. Come poteva Agamennone, re e padre, scegliere tra la patria e la propria figlia?
Ma gli altri re, già pronti per la guerra, non lasciarono spazio alla pietà: la flotta non poteva restare ferma per colpa di un solo uomo.
Quando la giovane Ifigenia apprese il suo destino, non pianse, non tremò, né cercò di fuggire. Guardò il padre, il popolo e l’altare, e disse solo di essere fiera di donare la vita per la Grecia e per l’onore della sua famiglia.
Poi, con passo calmo, salì sull’altare. Ma proprio nel momento in cui il coltello del sacerdote stava per trafiggere il suo cuore una densa nebbia avvolse il luogo del sacrificio.
Quando si diradò, il corpo di Ifigenia era scomparso. Al suo posto, sull’altare, giaceva una cerbiatta sacrificata.

Gabriel-François Doyen – Il sacrificio di Ifigenia – Collezione Motais de Narbonne – Wikipedia, pubblico dominio.
Artemide, colpita dal coraggio della fanciulla, l’aveva risparmiata, salvandola in segreto e trasportandola in Tauride, terra lontana, dove Ifigenia sarebbe diventata sacerdotessa proprio del culto della dea che l’aveva salvata.
Subito dopo, un venticello leggero si alzò dal mare. In pochi istanti si trasformò in un soffio deciso, gonfiando finalmente le vele. La flotta greca poté salpare verso il destino che l’attendeva sulle coste della Troade.
Il mito di Ifigenia è tra i più drammatici e poetici dell’antichità.
Parla di sacrificio e salvezza, di giustizia divina e dolore umano, ma soprattutto di una ragazza che affronta la morte con onore, diventando simbolo eterno di forza, obbedienza e coraggio femminile.
Nelle tragedie di Euripide (Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride), questa figura si carica di significati ancora più profondi: è vittima e sacerdotessa, offerta e salvata, tra le più nobili dell’intero immaginario greco.
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