Se si hanno frammentate e contraddittorie notizie sulle donne che hanno partecipato alla lotta risorgimentale, partendo da condizioni sociali e intellettuali di un certo rilievo, tanto più difficile è ricostruire le figure di donne proletarie, il cui ricordo è affidato soprattutto alla memoria orale per gli atti di impegno e vero e proprio eroismo di cui si sono fatte soggetto.
Molto silenzio oscura soprattutto le donne meridionali che invece, ancor più delle sorelle del Nord, videro nelle battaglie risorgimentali l’occasione per un protagonismo e una possibilità di uscire dalla subordinazione economica, sociale e di genere a cui erano condannate da secoli. Un personaggio di particolare rilievo, pur dentro la nebbia di informazioni mal certe, è Peppa ‘a cannunera.

La patriota in una stampa ottocentesca, indicata come “Giuseppina da Barcellona” – Wikipedia, pubblico dominio

Preferisco presentarla così, col soprannome che le venne dato, a riconoscimento della sua concreta partecipazione alla campagna garibaldina in Sicilia, essendo di lei certo il nome: Giuseppa – Peppa – mentre del cognome si hanno notizie contrastanti. Si sa che nacque a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) – nel 1826 secondo alcuni, nel 1841 secondo altri – “frutto degli illeciti amori di un tal Antonino Mazzeo, sensale di agrumi”, e nota ora come Giuseppa Bolognari dal nome della nutrice alla quale viene affidata in assai tenera età, ora come Giuseppa Calcagno, secondo un’altra versione che la vuole invece affidata dalla Congregazione di carità a certa Maria Calcagno, “nutrice di trovatelli”.

Anche delle sue attività si hanno informazioni contrastanti: forse serva di un oste catanese e poi aiutante stalliera in una rimessa di carrozze da nolo, o vetturina. Si dice di lei che era bruttissima per avere il volto butterato dal vaiolo e, ancora più certe, appaiono le “voci” sulla sua cattiva condotta sessuale. Donne di più alta reputazione sono state infangate dai loro rapporti pur con i più referenziati “padri della patria” (Mazzini, Pisacane, Garibaldi stesso…), per non parlare della contessa di Castiglione “usata” da Cavour proprio in funzione della sua avvenenza,e che a questo mal uso deve il longevo gossip che la riguarda, figurarsi quello che è toccato a questa giovane siciliana, prima accusata di avere rapporti con un ragazzo più giovane di lei: il “giovinetto Vanni”, successivamente di frequentare osterie e locali “poco adatti a una donna”, dove girava vestita da uomo, fumando sigari e bevendo e giocando a carte (forse riappropriandosi così, coraggiosamente, di un’identità sessuale finalmente espressa; ma questa naturalmente è una – possibile – interpretazione, che risente della più ampia gender map a cui siamo oggi abituate/i). Questo comunque il folclore.

Giuseppe Sciuti –
Peppa la cannoniera – Wikipedia, pubblico dominio

Certamente Peppa è un simbolo della partecipazione popolare, spontanea, all’insurrezione contro i Borboni, la risposta più istintiva della vendetta popolare contro “birri”, “dazieri”, “esattori del macino”, l’amministrazione di una giustizia sommaria, che dichiara senza tema d’essere smentito il debito che le rivoluzioni del 1848 e del 1860 debbono riconoscere: quello di dovere la liberazione dalle truppe borboniche alla spontanea organizzazione dell’elemento popolare in cui spiccarono molte eroine e donne d’eccezione che credettero di partecipare ad un processo di rinascita da cui sarebbe nata anche per le donne una condizione di maggiore eguaglianza e libertà.

Da questa “nuova” lettura sono nate recenti rappresentazioni teatrali e canzoni (su Youtube se ne possono trovare diverse versioni) che raccontano le gesta della Cannunera, a opera di artiste e artisti siciliani che tentano di riappropriarsi di alcune fila del Risorgimento, lasciate in ombra dalla storiografia ufficiale.

Per raccontare le gesta di Peppa mi avvalgo di un articolo uscito su La Sicilia nel maggio 2010, a firma Antonino Blandini, che riporta i fatti in concordanza con quanto ho appurato attraverso ricerche personali:

[…] Maggio 1860: alla notizia che i Mille avanzavano, i patrioti catanesi, dopo i falliti tentativi dell’8 e 10 aprile, decisero d’insorgere, privi di armi e munizioni, lasciando la città, presidiata da duemila militari del gen. Tommaso Clary, per organizzare la rivolta ad Adrano con i picciotti del col. Giuseppe Poulet. Giorno 24 entrarono a Mascalucia, dove l’avv. Martino Speciale eresse il tricolore, per puntare poi su Catania in stato d’assedio, mentre tanti si rifugiavano nei consolati di Francia e Gran Bretagna, dove si era insediato il comitato insurrezionale del marchese Domenico Bonaccorsi Casalotto e del principe Gioacchino Biscari, nonostante che tremila soldati stavano per abbandonare Girgenti e Caltanissetta per Catania. Allorché il 29 arrivò la notizia che Garibaldi era a Palermo, dopo una drammatica riunione fu deciso di rompere gli indugi. All’alba del 31, mentre le campane e i tricolori annunciavano l’insurrezione, una squadra di giovani al grido di “unità e libertà” si lanciò contro i regi. Un migliaio di volontari da Mascalucia raggiunse Porta Aci e Clary ordinò di bombardare la città […] La “Bulignanina” si unì ai rivoltosi e li aiutò a trasportare un cannone, nascosto dal 6 aprile 1849 in un pozzo di casa Dottore, a issarlo su un carro e ad installarlo nell’atrio di palazzo Tornabene all’Ogninella. Aperto all’improvviso il portone, la donna, accesa la miccia, scaricò una cannonata contro i napoletani che, colti di sorpresa tra le vie della Loggetta e Mancini, ripararono dietro le barricate tra l’Università e il Municipio, lasciando su via Euplio Reina diversi caduti e un pezzo di artiglieria, di cui gli insorti non riuscivano ad impossessarsi per i continui colpi di archibugio, ma che Peppa riuscì a tirare avvalendosi di un cappio ottenuto da una robusta fune. Verso mezzogiorno, mentre la resistenza s’indeboliva per il ritardo dei rinforzi di Nicola Fabrizi, la cavalleria cercò d’aggirare gli insorti. Intervenne l’eroina alla testa di un gruppo di popolani che irruppero in piazza S. Placido da via Mazza, trascinando il cannone per piazzarlo sul parterre di palazzo Biscari alla Marina. Due squadroni di lancieri dal Duomo stavano per sferrare la carica. Gli insorti lasciarono sola Peppa che, rimasta dietro l’affusto, beffò la cavalleria, inducendola all’assalto, spruzzando sulla punta del cannone un po’ di polvere cui diede fuoco, dando l’impressione che il colpo avesse fatto cilecca.

La cannoniera sparò al momento giusto decimando il nemico e mettendosi in salvo. L’epilogo della sanguinosa giornata fu negativo per i patrioti: Poulet fu ferito e, dopo 7 ore di guerriglia, ordinò la ritirata. Per 3 giorni la reazione delle soldatesche contro la popolazione fu terrificante. Dopo l’effimero successo, Clary, saputo che Garibaldi marciava su Milazzo, lasciò Catania. Le epiche gesta dell’amazzone risorgimentale furono riportate anche dai giornali stranieri. Peppa, dopo aver fatto da vivandiera alla Guardia nazionale, partecipò anche alla liberazione di Siracusa; nel 1861 o 1876 si trasferì a Messina […]

Si racconta ancora che, caduta nelle mani degli usurai, a cui pare avesse ceduto la pensione e quel che restava dei 216 ducati avuti in cambio del suo coraggio, morì tra il 1884 e il 1900.
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testo tratto da un articolo di  pubblicato su: blog.graphe.it (Testo rilasciato con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported License)

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