(revisione agosto 2025)

Antigone, protagonista della tragedia greca e figura simbolica della disobbedienza morale, era figlia di Edipo e della madre di lui, Giocasta, frutto di un’unione incestuosa che segnò per sempre il destino della sua famiglia.
Sorella di Ismene, Eteocle e Polinice, apparteneva alla stirpe maledetta dei Labdacidi, in cui colpa e sventura si intrecciano inevitabilmente.

Fulchran-Jean Harriet – Edipo a Colono insieme alla figlia Antigone – Wikipedia, pubblico dominio

Dopo l’esilio volontario di Edipo da Tebe, i fratelli Eteocle e Polinice si accordarono per governare la città alternandosi al potere ogni anno.
Ma, al termine del primo mandato, Eteocle rifiutò di cedere il trono. Polinice, sentendosi tradito, si rivolse a un esercito straniero e mosse guerra contro Tebe: il conflitto fratricida si concluse con la morte di entrambi sul campo di battaglia.

Salito al potere, Creonte, zio dei fratelli, decretò che Eteocle, in quanto difensore della patria, fosse onorato con una sepoltura solenne, mentre Polinice, considerato traditore, venisse lasciato insepolto, esposto agli animali, privato del riposo eterno.
Antigone si ribellò a questa decisione. Mossa dall’amore fraterno e dalla convinzione che le leggi divine fossero superiori a quelle degli uomini, confidò alla sorella Ismene la propria intenzione: avrebbe dato sepoltura a Polinice, anche a costo della vita.

Antigone e il corpo di Polinice, Progetto Gutenberg eText 14994 – Wikipedia, pubblico dominio

Ismene, timorosa e obbediente, tentò invano di dissuaderla, rifiutando di partecipare a quell’atto ritenuto sacrilego dalla legge. Antigone allora agì da sola: di nascosto, sparse simbolicamente un po’ di sabbia sul corpo del fratello, compiendo un gesto carico di significato e coraggio.

Quando Creonte scoprì l’autrice della trasgressione, andò su tutte le furie. In un primo momento la condannò a morte, poi, su consiglio dei suoi consiglieri, decise di rinchiuderla viva in una prigione, condannandola a morire lentamente.

Ma il popolo cominciò a provare simpatia per Antigone, vedendo in lei un’eroina tragica. Emone, figlio di Creonte e promesso sposo della giovane, si rivolse al padre implorando clemenza. Anche l’indovino Tiresia intervenne, avvertendo il re che la sua ostinazione stava attirando l’ira degli dèi.

Frederic Leighton – Antigone – Wikipedia, pubblico dominio

Scosso dalle parole del figlio e dell’indovino, Creonte decise infine di liberare Antigone. Ma era troppo tardi. Quando Emone giunse alla prigione, la trovò impiccata: la giovane, convinta che nessuno sarebbe venuto a salvarla, aveva scelto di anticipare la morte.

Distrutto dal dolore, Emone tentò prima di colpire il padre, poi si tolse la vita accanto al corpo dell’amata. La tragedia non era ancora finita: anche Euridice, madre di Emone e moglie di Creonte, sopraffatta dal dolore, si suicidò.

Creonte rimase solo, travolto dalla rovina che lui stesso aveva generato. Pieno di rimorso, implorò gli dèi di concedergli la morte, simbolo vivente della catastrofe provocata dalla cieca rigidità del potere umano.

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