Secondo la leggenda, prima di essere ucciso, Archimede chiese di poter completare il disegno di un cerchio tracciato sulla sabbia, ma la sua richiesta non fu esaudita. Le sue ultime parole, tramandate nei secoli, furono: “Mi hanno portato via il corpo, ma io mi porterò via l’anima”.

Archimede in un dipinto di Domenico Fetti (1620) – Wikipedia, pubblico dominio
Archimede di Siracusa (circa 287 a.C. – 212 a.C.) fu uno dei più grandi scienziati della storia.
Matematico, astronomo, fisico e inventore, le sue scoperte hanno segnato profondamente il progresso scientifico.
Nato a Siracusa, in Sicilia, si formò ad Alessandria, dove studiò con i discepoli di Euclide. La sua fama è legata soprattutto ai contributi nel campo della geometria e dell’idrostatica, la scienza che studia l’equilibrio dei fluidi. In ambito meccanico, ideò la vite senza fine, la carrucola mobile e le ruote dentate.
A lui si deve la teoria della leva, da cui nacque la celebre affermazione: “Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo“.
Il suo principio più noto, il “Principio di Archimede“, riguarda la spinta idrostatica e venne formulato in circostanze singolari. Il re Gerone di Siracusa sospettava che la sua corona non fosse d’oro puro e chiese ad Archimede di verificarlo senza danneggiarla. Osservando l’acqua che traboccava mentre si immergeva nella vasca da bagno, intuì che ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del liquido spostato.
Esultante, si dice che corse nudo per le strade di Siracusa gridando “Eureka! Eureka!” (Ho trovato!).
Nonostante la sua vocazione per la ricerca pura, Archimede fu costretto a dedicarsi all’ingegneria militare per difendere Siracusa dall’assedio romano.

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Sotto la pressione del re Gerone, ideò straordinarie macchine da guerra: catapulte capaci di scagliare enormi pietre, uncini di ferro per rovesciare le navi nemiche, sistemi a leva per lanciare massi sugli invasori, e perfino specchi di bronzo che, secondo la leggenda, incendiavano le imbarcazioni nemiche concentrando i raggi solari. Grazie a queste invenzioni, la città resistette per tre anni all’esercito romano.
Archimede, tuttavia, era estraneo alla guerra e immerso nei suoi studi. Durante il saccheggio di Siracusa, il console romano Marcello, grande ammiratore del suo genio, aveva ordinato che gli fosse risparmiata la vita. Ma un soldato romano, non riconoscendolo e irritato dal suo silenzio, lo uccise. Era il 212 a.C.

Archimede con il soldato romano che lo ha ucciso – copia di un mosaico romano del II secolo – Wikipedia, pubblico dominio
Marcello, addolorato, gli tributò solenni onoranze funebri e fece costruire una tomba con un’incisione raffigurante una sfera inscritta in un cilindro, simbolo di una delle sue più grandi scoperte matematiche. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: “Della sfera e del cilindro“, “Dell’equilibrio dei piani e loro centro di gravità“, “Misura del cerchio“, “Arenario” e “Sui corpi galleggianti“. Il suo contributo rimane una pietra miliare della scienza, testimone di un’ingegnosità senza tempo.
Il Pi greco
Il Pi greco (π) è una costante matematica di fondamentale importanza, utilizzata non solo in matematica ma anche in fisica. La sua prima apparizione avviene nello studio del cerchio, poiché definisce il rapporto tra la circonferenza e il diametro. Il primo a determinare con precisione il valore del Pi greco fu Archimede, che utilizzò poligoni regolari con ben 96 lati inscritti e circoscritti a una circonferenza, arrivando a un’approssimazione di 3,14.
Le cifre successive del Pi greco sono: 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971…
Tuttavia, Archimede non fu il primo a tentare di calcolare quante volte il diametro di un cerchio si adatta alla sua circonferenza. Già i Babilonesi avevano stimato π come 3,125, mentre gli Egizi lo consideravano pari a 3,1605. Anche i Cinesi fecero delle approssimazioni, attribuendogli un valore di 3.

Metodo di quadratura del cerchio – Wikipedia, pubblico dominio
Quando si dedicò allo studio del cerchio, Archimede adottò il metodo di esaustione, sviluppato da Antifonte e Brisone. A differenza di loro, però, si concentrò sui perimetri dei poligoni piuttosto che sulle aree. Raddoppiando quattro volte i lati di due esagoni, ottenne poligoni con 96 lati, di cui calcolò i perimetri per stimare il valore della circonferenza. Pubblicò i suoi risultati nel trattato “Misura del cerchio“
Consapevole dei limiti del suo metodo, Archimede riuscì comunque a stabilire un intervallo molto ristretto per il valore di π. Facendo la media tra i due estremi da lui calcolati, ottenne 3,1419, con un margine d’errore inferiore a tre decimillesimi rispetto al valore reale.
Il principio della leva
Nel III secolo a.C., Archimede, uno dei più grandi matematici della storia, fu il primo a enunciare il principio della leva nel suo trattato Sull’Equilibrio dei Piani.
Secondo Archimede, il rapporto tra i bracci della resistenza e della potenza è inversamente proporzionale al rapporto tra le forze: se uno aumenta, l’altro diminuisce.
Una leva è un oggetto rigido che può ruotare attorno a un fulcro, un punto fisso. Su di essa agiscono due forze: la resistenza, che si oppone al movimento, e la potenza, che viene applicata per vincere la resistenza. Se la potenza è esercitata su un braccio più lungo rispetto alla resistenza, il movimento risulta facilitato; al contrario, se il braccio della resistenza è più lungo, sarà necessaria una forza maggiore per ottenere lo stesso risultato.

Incisione tratta da Mechanics Magazine pubblicata a Londra nel 1824. – Wikipedia, pubblico dominio
Nel corpo umano, la potenza è sempre generata da un muscolo, la resistenza corrisponde al peso della parte da muovere e il fulcro è rappresentato dall’articolazione tra due ossa.
La celebre frase “Datemi una leva e solleverò il mondo“, attribuita ad Archimede, sottolinea l’importanza del suo studio sulla leva. Comprendendo il ruolo del fulcro e la distribuzione del peso, è possibile sollevare carichi enormi applicando una forza minima.
La formula per calcolare il funzionamento di una leva è:
Potenza × Braccio della Potenza = Resistenza × Braccio della Resistenza.
Eureka! Archimede aveva ragione! Oltre al celebre principio della leva, sembra che avesse ragione anche sugli specchi ustori. Secondo alcuni storici, seppur non sempre affidabili, nel 212 a.C. li avrebbe utilizzati per incendiare la flotta romana che assediava Siracusa, la sua città natale.
Il programma MythBusters su Discovery Channel aveva dichiarato che si trattava solo di un mito, basandosi su un esperimento fallito che tentava di ricreare la tecnologia a disposizione di Archimede. Tuttavia, recenti studi condotti dal MIT riabilitano l’idea: non è certo che sia accaduto, ma era sicuramente possibile.
Ripercorriamo i fatti. Siamo nel pieno della Seconda guerra punica (218-210 a.C.). Siracusa, colonia greca e alleata di Roma durante il regno del tiranno Gerone, alla sua morte nel 216 a.C. vide prevalere la fazione filocartaginese. Questo cambiamento politico portò le forze romane, guidate dal console Marcello, ad assediare la città da terra e da mare.

Giulio Parigi, 1600 – Specchi ustori, dipinto presso lo stanzino delle matematiche della Galleria degli Uffizi a Firenze – Wikipedia, pubblico dominio
Fu in questo contesto che Archimede avrebbe impiegato specchi per raccogliere e concentrare i raggi solari. Puntati sulle quinqueremi romane, il calore riflesso avrebbe innescato incendi, causando la distruzione della flotta di Marcello.
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