Nell’antica lingua degli Oschi, un popolo italico proveniente dalle valli del Sangro e del Volturno, “ruma” sta per “colle”, oppure per “zinna”, in italiano: “tetta”. La dea Rumina, una “zinnona” indigena, protettrice dei lattanti e degli armenti, aveva un sacello in riva al Tevere presso un fico detto ruminale.
Sotto l’ombra del fico, nella stagione calda, ruminavano i buoi e i pecorai andavano in questo luogo scoperto e recintato, con altare dedicato alla dea, a offrire il latte.
Le cerimonie rituali in onore di Lupercus Faunus, sposo e fratello di Fauna, incarnazione femminile della Madre Natura, si svolgevano nel Lupercale, la grotta sul Palatino dove, secondo la leggenda, i due pastori gemelli Romolo e Remo erano stati allattati dalla mitica lupa. Presiedevano i Luperci, i sacerdoti di Marte, che sacrificavano una capra (simbolo di fertilità), un cane (simbolo di purificazione) e con il sangue degli animali battezzavano due fanciulli. I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta correndo per la Via Sacra, armati di lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro, in cerca di giovani donne da “purificare”.
La festa di Lupercalia prevedeva, oltre alla rappresentazione nel Lupercale, anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale: i nomi delle giovani vergini da fecondare e quelli dei giovani aspiranti “uomini-lupo” erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori; i due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano a turno un bigliettino formando così le coppie che avevano a disposizione un intero anno, fino alla nuova celebrazione, per provvedere alla fertilità di tutta la comunità, con la benedizione di Marte, Romolo, Pan, Fauno Luperco e delle “Grandi Madri” romane – Ruma, Rea Silvia, Fauna, Acca Laurentia – incarnatesi nel modello mitico universale noto come “La lupa”.
La festa di Lupercalia è stata soppressa nel momento in cui l’antico calendario romano, istituito da Romolo e revisionato da Numa Pompilio, fu ridisegnato prima da Giulio Cesare – nel calendario giuliano – e – anche se la festa fu temporaneamente restaurata prima da Augusto e poi da Anastasio – infine, definitivamente “occultata” dal calendario gregoriano ancora in vigore. Giungiamo, quindi, alla più popolare festa dell’amore dei tempi moderni, il giorno di San Valentino.
Narra la leggenda che, poco prima di essere giustiziato, Valentino si rese protagonista di un vero e proprio miracolo reso possibile dalla sua fede nel Cristo: il giorno 14 febbraio del 273 d.C., prima di salire sul patibolo, lasciò un bigliettino indirizzato alla figlia nonvedente del suo carceriere, Asterio, di cui si era platonicamente innamorato, che ella, miracolosamente, poté leggere.
Vi era scritto: “Dal tuo Valentino”.
Da questo mito deriva l’usanza di scambiarsi messaggi d’amore nel giorno di San Valentino.
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