• Luca 20,27-40.
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    Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
    Gesù rispose:
    «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui».

    Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene».
    E non osavano più fargli alcuna domanda.

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Luca Signorelli – Resurrezione della carne (1499-1502). Cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto – Wikipedia, pubblico dominio.

 

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RIFLESSIONE

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La risurrezione è certa perché esiste un “altro mondo” che si rivela in coloro che “ne sono giudicati degni”, perché la vita soprannaturale che in loro si manifesta ne è la garanzia; un uomo il cui corpo non è più schiavo della concupiscenza, ad esempio, è come una primizia della resurrezione: quel corpo ha già conosciuto qui sulla terra una forza capace di strapparlo alla corruzione. 
La resurrezione è, quindi, vincolata a un giudizio sulla vita condotta da ciascuno sulla terra. 
Gesù risponde alla questione posta dai sadducei, immagine di tutti quelli che negano la risurrezione, “parlando bene” del “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”; essi sono “vivi” nella storia di salvezza e amore che Dio ha inaugurato con loro e nella quale si è affacciato divenendo l’”Emmanuele”, il Dio vivo con loro, sino a farsi carne in suo Figlio. 
Così Gesù per annunciare la resurrezione insegna storia perché è in essa che Dio si rivela e depone i semi della risurrezione: Egli ricorda i memoriali legati ai Patriarchi, e, in modo particolare riconduce i sadducei all’alba della Pasqua, profezia di quella che Lui avrebbe vissuto nella sua morte e risurrezione. E giunge al mistero del roveto ardente, immagine della sua vita che non ha subito la corruzione nelle fiamme degli inferi. E qui vi trova la risposta per i sadducei, perché “non osino più” metter in dubbio il destino di resurrezione che attende ogni uomo. La loro domanda, infatti, è una traduzione della domanda di Mosè: “Chi sei?”. In quel roveto che non si consuma appare la risposta: Io sono colui che sono.

Il Signore appare a Mosè in un roveto ardente – Wikipedia, pubblico dominio.

La resurrezione non è un’ipotesi, una speculazione, è Dio che si rivela a Mosè, ardendo in un amore che non si consuma, ma brucia la morte e il peccato. La resurrezione è quel Rabbì che avevano di fronte, nel quale appariva ai loro occhi l’Eterno incorruttibile in una carne del tutto simile alla loro. 
Chi
 poteva avere tanto potere da liberare gli Ebrei, quel manipolo di poveri uomini dal giogo di ferro del Faraone, più potente dei re della terra? Allo stesso modo, “nella resurrezione, chi sarà il marito” di una donna che ne ha avuti sette, in virtù della legge del levirato che doveva garantire una discendenza? La risposta è identica: Io sono colui che sono ha il potere di liberare gli schiavi del Faraone e quelli sottoposti agli angusti confini della carne.

Nella risposta di Dio a Mosè e in quella di Gesù ai sadducei non vi è né passato né futuro, solo il presente eterno reso possibile da Cristo che ha sconfitto la morte e il peccato ed è risuscitato. 
Gesù è stato “giudicato degno dell’altro mondo” per essersi umiliato sino alla morte di croce, per non essersi difeso e aver offerto la propria vita.
 

E’ “Signore”, il kyrios perché ha amato sino alla fine. Come scrive S. Giovanni nel prologo del suo Vangelo, “a coloro che lo hanno accolto (Gesù) ha dato il potere di divenire figli di Dio”, “figli della risurrezione” nel Figlio che ha vinto la morte. Essi partecipano ormai della natura e della vita divina, e sono qui in questo tempo e in questo mondo “giudicati degni di un altro mondo e della risurrezione dai morti”; vivono ogni relazione in modo diverso, celeste perché “sono uguali agli angeli”, anche se profeticamente e non ancora in pienezza: “hanno moglie come se non l’avessero… possiedono come se non possedessero, usano del mondo senza usarne appieno” (cfr. 1 Cor.). 
Per questo Gesù dice che “non prendono moglie né marito”: nei loro peccati hanno visto già “passare la scena di questo mondo”, e sanno che, con la risurrezione di Cristo che li ha liberati, “il tempo si è fatto breve” come la distanza che ormai li separa dal Cielo. “Non possono più morire” e per questo non si difendono più come i figli di questo mondo, che afferrano cose e persone per stordire la paura della morte, tentando così di allungare il tempo nell’illusione di allontanare la tomba. In loro è vivo il “Dio dei vivi” che vuole trasfigurare anche la nostra carne incapace di andare oltre la biologia ferita dal peccato, come la donna data in sposa a sette mariti. Sette, come i peccati capitali, come gli sposi di Sara morti nella prima notte di nozze. 
Ma Gesù ha vinto il peccato e la morte e viene oggi ad unirsi a ciascuno di noi come Tobia: è Lui il Marito al quale siamo stati promessi sin dall’eternità. Egli ha inaugurato per noi l'”ottavo” giorno, del quale con i sadducei di ogni tempo anche tutti noi, schiacciati nel dubbio di fronte al dolore e alla morte, non potevamo sospettarne l’esistenza. In esso siamo chiamati a vivere già da ora attraverso una vita feconda di frutti che rimangano per l’eternità, in un amore che, tra le fiamme della storia, non si consuma, capace di perdonare e donarsi oltre i limiti della carne. Esiste la risurrezione perché proprio noi “esistiamo per Lui”; in tutto si vede che il Dio dei vivi che è sempre con noi, come è stato nella storia della salvezza con Abramo, Isacco e Giacobbe, come ha soccorso e risuscitato il suo Figlio per fare della nostra storia un frammento dell’eternità.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: cercoiltuovolto.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

Per ulteriori spunti di riflessione vedi: Lasciamoci guidare