
Polinice consegna a Erifile la collana di Armonia. Oinochoe attica a figure rosse, ca. 450–440 a.C. – Museo del Louvre – Wikipedia, pubblico dominio
Cadmo, leggendario fondatore e re di Tebe, sposò Armonia, una donna di straordinaria bellezza. Tanto affascinante da essere ritenuta, da molti, figlia della dea Afrodite.
Altri la dicevano invece figlia di Zeus e di Elettra, una delle Pleiadi, rendendola sorella di Iasione e Dardano.
Qualunque fosse la sua origine, il loro matrimonio fu un evento memorabile.
Tutti gli dèi dell’Olimpo parteciparono alle nozze, portando doni. Tra questi, il più celebre fu quello di Efesto, il dio fabbro: una collana d’oro finemente cesellata, tempestata di pietre preziose. Un gioiello meraviglioso… ma maledetto.
Quella collana, nota nei miti come la Collana di Armonia, era destinata a portare sventura a ogni donna che l’avesse indossata.
Si diceva che donasse eterna giovinezza e bellezza, ma al prezzo di una vita segnata dal dolore.
Cadmo e Armonia ebbero cinque figli, ma su ciascuno di loro si abbatté una tragedia:
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- Polidoro, l’unico maschio, generò Labdaco, il nonno dello sventurato Edipo, protagonista di uno dei drammi più oscuri della mitologia.
- Semele morì giovane, incenerita dallo splendore divino di Zeus mentre dava alla luce il figlio Dioniso.
- Autònoe vide il proprio figlio Atteone trasformato in cervo dalla collera di Artemide, e divorato dai suoi stessi cani.
- Ino, impazzita, si gettò in mare con il piccolo Melicerte stretto fra le braccia.
- Agave, preda del delirio bacchico, sbranò il proprio figlio Penteo, senza riconoscerlo.
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Travolto dal dolore e dal rimorso, Cadmo finì per maledire la città che aveva fondato. Abbandonò Tebe con Armonia, e insieme vagarono per anni in terre lontane. Alla fine, impietositi dal loro destino, gli dèi li trasformarono in serpenti e li accolsero nei Campi Elisi, la terra beata dei giusti e degli eroi.
La collana, intanto, continuò il suo viaggio, tramandata di generazione in generazione tra le donne della casa reale di Tebe, lasciando dietro di sé una scia di rovina. Secondo la leggenda, il monile era formato da due serpenti d’oro, le cui bocche aperte fungevano da fermaglio. Un oggetto di bellezza eterna e, al contempo, di condanna.




