Martino nacque in Pannonia, l’odierna Ungheria, nel 316; era figlio di un ufficiale romano e fu educato nella città di Pavia, dove passò la sua infanzia fino all’arruolamento nella guardia imperiale all’età di quindici anni.

A scuola Martino prese i primi contatti con i cristiani e, all’insaputa dei genitori, si fece catecumeno e prese a frequentare con assiduità le assemblee cristiane.

La sua umiltà e la sua carità hanno dato vita ad alcune leggende tra cui quella in cui Martino incontrò un povero al quale donò metà del suo mantello; oppure quella dell’attendente che Martino considerava come un fratello, tanto da tenergli puliti i calzari.

Simone Martini – Investitura di San Martino a cavaliere – Wikipedia, pubblico dominio

Ottenuto dall’imperatore l’esonero dal servizio militare, Martino si recò a Poitiers presso il vescovo Sant’Ilario, che completò la sua istruzione religiosa, lo battezzò e lo ordinò sacerdote. Tornò in Pannonia dove convertì la madre, quindi combatté gli Ariani a Milano, ma venne cacciato.

In seguito si ritirò in Liguria, infine di nuovo in patria. Amante della vita austera e del silenzio, eresse il monastero di Ligugè, il più antico d’Europa, e quello di Marmontier, tuttora esistente.

Essendo vacante la diocesi di Tours, nel 372 venne consacrato vescovo per unanime consenso di popolo. Accettò la carica con grande riluttanza, ma si dedicò con zelo all’adempimento dei suoi doveri episcopali, continuando la sua vita ascetica di preghiere e rinunzie e portando nella sua nuova missione il rigore dei costumi monastici, sempre vicino alla gente, soprattutto ai contadini più poveri.

Resse la diocesi per ben ventisette anni in mezzo a molti contrasti, anche da parte del suo stesso clero. Un certo prete Brizio arrivò persino a querelarlo; ma il vescovo lo perdonò dicendo: “Se Cristo sopportò Giuda perché io non dovrei sopportare Brizio?”.
Stremato dalle fatiche e dalle penitenze, pregava il Signore dicendo: “Se sono ancora necessario non mi rifiuto di soffrire, altrimenti venga la morte.”

Morì a Candes e volle essere disteso sulla nuda terra, cosparso di cenere e cinto da un cilicio: era l’11 novembre del 397.
I suoi funerali furono celebrati alcuni giorni dopo per dare il tempo ai suoi monaci di arrivare: ne erano presenti circa duecento.

La tomba di San Martino di Tours nell’omonima basilica, costruita nel XIX secolo sulle rovine dell’antica abbazia eretta nel V secolo. – Wikipedia, pubblico dominio

Sepolto nella cattedrale di Tours, la sua fama si diffuse in tutta la Francia, dove è ancora invocato come primo patrono della nazione. La sua tomba è meta di continui pellegrinaggi da tutto il mondo.

Nell’arte San Martino è raffigurato sul cavallo mentre taglia il suo mantello; in Francia, nelle chiese a lui dedicate, è rappresentato come vescovo che distribuisce elemosine ai poveri.

 

Su di lui si raccontano molte leggende, la più famosa è questa:

Era l’11 novembre: il cielo era coperto, piovigginava e tirava un ventaccio che penetrava nelle ossa; per questo il cavaliere era avvolto nel suo ampio mantello di guerriero. Ma ecco che lungo la strada c’è un povero vecchio coperto soltanto di pochi stracci, spinto dal vento, barcollante e tremante per il freddo.

Martino lo guarda e sente una stretta al cuore. “Poveretto, – pensa – morirà per il gelo!” E pensa come fare per dargli un po’ di sollievo. Basterebbe una coperta, ma non ne ha. Sarebbe sufficiente del denaro, con il quale il povero potrebbe comprarsi una coperta o un vestito; ma per caso il cavaliere non ha con sé nemmeno uno spicciolo.

E allora cosa fare? Ha quel pesante mantello che lo copre tutto. Gli viene un’idea e, poiché gli appare buona, non ci pensa due volte. Si toglie il mantello, lo taglia in due con la spada e ne dà una metà al poveretto.
“Dio ve ne renda merito!”, balbetta il mendicante, e sparisce.

Napoli, Certosa di san Martino: Pietro Bernini: San Martino divide il mantello con il povero (dal portale d’ingresso alla Certosa). Wikipedia – Foto: Sailko, opera propria. Licenza CC BY 3.0

San Martino, contento di avere fatto la carità, sprona il cavallo e se ne va sotto la pioggia, che comincia a cadere più forte che mai, mentre un ventaccio rabbioso pare che voglia portargli via anche la parte di mantello che lo ricopre a malapena. Ma fatti pochi passi ecco che smette di piovere, il vento si calma. Di lì a poco le nubi si diradano e se ne vanno. Il cielo diventa sereno, l’aria si fa mite.

Il sole comincia a riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello. Ecco l’estate di San Martino, che si rinnova ogni anno per festeggiare un bell’atto di carità ed anche per ricordarci che la carità verso i poveri è il dono più gradito a Dio. Ma la storia di San Martino non finisce qui. Durante la notte, infatti, Martino sognò Gesù che lo ringraziava mostrandogli la metà del mantello, quasi per fargli capire che il mendicante incontrato era proprio lui in persona.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: digilander.libero.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

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PAESE CHE VAI…


In Svezia e in Danimarca
 è tradizione che, per San Martino, si mangi l’oca. Questa usanza è legata a un’altra leggenda.
Si racconta che il Papa volesse a tutti i costi nominare vescovo Martino. Ma il brav’uomo era molto umile e desiderava talmente poco occupare posizioni importanti che si nascose in un convento sperando che nessuno lo potesse scovare. Voleva pregare, vivere semplicemente e basta. C’erano però delle oche, in quel convento. Le oche, come si sa, sono animali chiassosi: non conoscendo quel monaco che si nascondeva tra gli altri, fecero un tale concerto di “qua, qua, qua” che alla fine Martino venne scoperto. Da allora ogni anno un’oca viene arrostita: è una specie di punizione…

In Germania e in altri paesi la festa di San Martino assomiglia molto a quella di Halloween. I bambini si vestono in maschera e, la sera del 10 novembre, fanno un corteo portando in mano dei lumini accesi. Anche loro vanno di casa in casa cantando una canzone e facendosi regalare dolcetti e soldini.

In Italia non si fanno grandi feste per San Martino. In questa data, però, finiva in molte zone del nord l’anno lavorativo dei contadini. Se il padrone del campo non chiedeva loro di restare a lavorare per lui anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e andare a cercare un altro padrone e un altro alloggio.
Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” è diventato un modo per dire “cambio casa”.
Un tempo, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava il 12 novembre. A San Martino, perciò, si faceva una grande mangiata di arrosto d’oca o di tacchino.

Per S. Martino in provincia di Venezia si fa un dolce di pasta frolla a forma del santo sul cavallo e sopra è tutto guarnito con glassa colorata, caramelle, cioccolatini etc. E’ molto bello a vedersi e per chi piacciono i dolci di pasta frolla anche buono a mangiarsi. Di solito sono i fidanzati che lo regalano alle rispettive fidanzate. 

In Italia il culto di San Martino è legato alla cosiddetta Estate di San Martino.
L’estate di San Martino è una caratteristica meteorologica particolare legata all’area mediterranea, quando, nel mese di novembre, si crea un breve periodo di tempo bello e tiepido, in un mese generalmente rigido. Nell’emisfero australe il fenomeno si osserva in tardo aprile – inizio maggio. Nei paesi anglosassoni viene chiamata Indian summer. Questo evento prende il nome da una leggenda che racconta come San Martino, in un giorno freddissimo, donò ad un povero il suo mantello e, proprio allora, sarebbe uscito uno splendido e caldo sole.
Tradizionalmente durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino novello, che solitamente viene abbinato alle prime castagne.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: guidaaltoadige.blogspot.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

 

San Martino

La nebbia a gl’irti colli
  piovigginando sale, 
 e sotto il maestrale
 urla e biancheggia il mar; 

ma per le vie del borgo
  dal ribollir de’ tini
  va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
  lo spiedo scoppiettando:
  sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
  stormi d’uccelli neri,
  com’esuli pensieri,
  nel vespero migrar. 

 

Giosuè Carducci – dalla raccolta “Rime Nuove” 1861/87

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testo poesia tratto da Wikipedia

 

Vedi anche: