Campe è una figura della mitologia greca ed era la custode del Tartaro. Aveva l’aspetto di un mostro, la cui metà superiore aveva l’aspetto di una donna anziana; quella inferiore, di drago, ricoperta di serpenti.

Gea predisse a Zeus che avrebbe potuto spodestare il padre solo se si fosse alleato con i Ciclopi, che tempo addietro erano stati confinati nel Tartaro dallo stesso Crono.
Questi li aveva utilizzati nella guerra contro Urano e in seguito se ne era sbarazzato temendo le loro abilità di fabbri di oggetti magici.
Zeus quindi decise di liberarli e non ci pensò due volte ad uccidere Campe. Liberò così Ciclopi e Giganti Centimani.
Secondo un’altra versione Zeus si limitò ad ubriacarla per poi procedere all’apertura della prigione…

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Illustrazione di Campe – Wikipedia – User: Asif Shahriar, opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 4.0

Ecco come Nonno di Panopoli nelle Dionisiache l. II, 18, 237 e ss. descrive questo terribile mostro;

Campe dall’alta testa, il cui corpo ritorto assumeva tutto molte forme. Migliaia di rettili, infatti, eccitavano una guerra difforme e strana, avvolta su se stessa, e con i loro movimenti serpentini sputavano a distanza il veleno; intorno al collo, come ghirlanda fiorita, cinquanta musi delle bestie più varie: teste di leone che ruggivano, al modo del volto terribile di Sfinge enigmatica, altre che schiumavano da denti di capra, e con fitta falange d’innumeri teste canine era compiuta imitazione dell’aspetto di Scilla.

Duplice natura, infatti, fino a metà del corpo era una donna chiomata di corimbi serpentini lanciaveleno; ma dal petto fino alla piega delle cosce la sua enorme forma ibrida si induriva in scaglie di mostro abissale; mentre le unghie delle innumeri mani erano ricurve in forma di falci rapaci. E dalla cima del collo, su e giù per il dorso spaventoso, uno scorpione, la coda incombente sul collo, svariava ruotando su se stesso, armato dell’acuto pungolo di grandine. Così, col suo aspetto molteplice, Campe si sollevava, avvolgendosi, e percorreva la terra, l’aria e l’abisso del mare volando col battito alterno delle scure ali, a suscitare fortunali, ad armare tempeste, lei, ninfa del Tartaro dalle nere penne; e dagli occhi una vivida fiamma sputava lontano le scintille.

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