Nel cuore oscuro della mitologia greca, il Tartaro rappresenta l’abisso più profondo e terribile dell’universo: un luogo di punizione, dolore e prigionia eterna.
Non era solo il regno dei dannati, ma anche la prigione dei Titani, confinati da Zeus dopo la loro ribellione contro gli dèi dell’Olimpo.

Secondo il filosofo Platone, nel Tartaro le anime venivano condotte dopo la morte per essere giudicate, e lì i malvagi ricevevano la loro pena divina.

Mappa degli inferi secondo Virgilio, da Andrea de Jorio – Wikipedia, pubblico dominio.

Ma in tempi più antichi, il Tartaro non era ancora una prigione morale: per Esiodo, era una delle forze primordiali dell’universo, nata subito dopo il Caos e Gaia, la Terra, e prima ancora dell’amore cosmico, Eros.

I poeti immaginavano il Tartaro come un abisso senza fondo, posto ben al di sotto dell’Ade, tanto lontano quanto la terra lo è dal cielo. Era un luogo avvolto nelle tenebre, circondato da mura di bronzo e da un triplice strato di notte.
Là, Zeus imprigionò i Titani e i Ciclopi, semidei ribelli che avevano minacciato il potere olimpico. Da regno di contenimento, il Tartaro divenne col tempo una sede di punizione, dove le anime dei colpevoli scontavano pene eterne proporzionate ai loro delitti.

Tra le figure più celebri condannate al Tartaro, i poeti ricordano:

Prometeo, che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini: legato a una rupe, subisce il supplizio del fegato eternamente divorato da un avvoltoio.

Peter Paul Rubens – Prometeo incatenato – Wikipedia, pubblico dominio

Tantalo, che osò servire agli dèi la carne del figlio Pelope: è costretto a una fame e una sete perenni, con l’acqua e i frutti sempre fuori dalla sua portata.

Joseph Heinz the Elder, 1535 – Tantalo – Wikipedia, pubblico dominio

Sisifo, il re ingannatore, obbligato a spingere un masso fino alla cima di un monte, solo per vederlo rotolare di nuovo giù, in un ciclo infinito di fatica e fallimento.

Tiziano Vecellio – Sisifo – Museo del Prado, Madrid – Wikipedia, pubblico dominio

Issione, colpevole di aver tentato di sedurre Era, legato a una ruota infuocata che gira senza tregua nel buio eterno.

Issione nel Tartaro legato alla ruota in un’illustrazione di Bernard Picart. – Wikipedia, pubblico dominio.

 

Persino gli dèi temevano quel luogo. Esiodo racconta che il Tartaro, personificato come una divinità, si unì a Gea, la Terra, generando mostri terribili come Echidna e Tifone, simboli del caos primordiale.

La leggenda vuole che sulla terra esistano diversi ingressi che conducono al Tartaro.
Uno dei più noti si trovava ad Aornum, nella Grecia occidentale, presso la valle del fiume Acheronte, che gli antichi credevano scorresse direttamente nel mondo dei morti.
Attraverso quelle fenditure, i poeti immaginavano che le anime dei peccatori venissero inghiottite dalle tenebre per affrontare il loro giudizio eterno.

Il Tartaro rappresenta l’ombra dell’ordine divino: il luogo dove la giustizia degli dèi si fa abisso. Simbolo della punizione e del limite, esso ricorda che nel pensiero greco ogni eccesso di orgoglio, di inganno, di empietà, genera la propria condanna.
È l’altra faccia del cosmo: ciò che gli dèi temono quanto gli uomini, e che, come ogni inferno, esiste per dare forma e misura al bene.

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