Nel 1375, a Reggio Emilia, una donna di nome Gabrina degli Albeti fu portata davanti al Tribunale civile, presieduto dal Vicario del Podestà.
In quegli anni, il famigerato Malleus Maleficarum (Il Martello delle Streghe), opera dei frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, non era ancora stato pubblicato. Tuttavia, la caccia alle eretiche e alle guaritrici considerate streghe era già una realtà diffusa, guidata dall’urgenza di reprimere eresia, paganesimo e pratiche ritenute malefiche.

Frontespizio di un’edizione del Malleus maleficarum (Il martello delle streghe) risalente al 1669 – Wikipedia, pubblico dominio
Guaritrice ed esperta di erbe, Gabrina era solita sussurrare formule magiche mentre preparava le sue pozioni. Questo la rese sospetta agli occhi della giustizia: accusata di scelleratezza e di praticare la stregoneria, fu processata come fattucchiera. La sua colpa? Essere un’erbaiola, una raccoglitrice di erbe medicinali che, secondo i giudici, non potevano avere alcuna proprietà curativa ma solo effetti malefici.
A quell’epoca, le erbaiole erano considerate streghe e trattate come tali, perché ritenute “medici del diavolo, capaci di far credere che ciò che Dio non vuole fare, esse lo possano ottenere con l’aiuto del Demonio”, come riportato negli Assempri di Fra Filippo da Siena.
Il processo contro Gabrina fu portato alla luce dallo studioso reggiano Aldo Cerlini, che nel 1906 pubblicò la sua ricerca nel periodico Studi Storici. Il documento originale, scritto in latino, proviene dalla Curia del Podestà di Reggio Emilia ed è incluso negli atti delle Inquisizioni criminali condotte da Iacopo Bichigni tra il 1374 e il 1375.
L’atto d’accusa si compone di quattordici capi d’imputazione, ma l’aspetto più interessante del processo è il tipo di accusa formulata contro Gabrina. Non fu infatti considerata una strega nel senso che il termine assumerà nei secoli successivi, né le furono attribuiti legami con il Diavolo.

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Fu invece definita mulier malefica, una donna ritenuta capace di preparare intrugli miracolosi, soprattutto per risolvere problemi d’amore.
Gabrina era una figura di riferimento per molte donne, che si rivolgevano a lei per trovare conforto e soluzioni alle proprie angosce: la paura di rimanere incinte, il timore di essere tradite, il desiderio di riconquistare un amante, la sofferenza per un figlio malato o la disperazione per un marito violento. Problemi che, evidentemente, la sola fede cristiana non riusciva a risolvere.

Illustrazione dalla Wickiana (collezione di Johann Jakob Wick, Biblioteca centrale di Zurigo) – Wikipedia, pubblico dominio
Le magie attribuite a Gabrina si adattavano alle necessità delle sue clienti. In un’accusa, una certa Franceschina Avanzi, tradita dal marito che l’aveva lasciata per un’altra, dichiarò che Gabrina le aveva consigliato un intruglio a base di ingredienti insoliti: peli delle proprie gambe, unghie tagliate del marito, cuore di gallina nera e polvere di ramoscelli secchi. Il marito avrebbe dovuto ingerirlo durante una visita per farlo tornare da lei.
Anche un’altra donna, Masina, che desiderava sposare l’uomo di cui si era innamorata, seguì i consigli di Gabrina, ottenendo il risultato sperato.
Ma la posizione della guaritrice si aggravò quando confessò di utilizzare il sacro crisma – in realtà semplice olio d’oliva – come filtro d’amore. Secondo la sua pratica, ungersi le labbra con quell’olio prima di baciare un uomo garantiva di conquistarne il cuore.
Pochi giorni dopo la sentenza, nell’estate del 1375, Gabrina uscì dal tribunale segnata per sempre: fu marchiata a fuoco e le venne amputata la lingua. Una punizione che non fu casuale. Analfabeta, senza la parola, non avrebbe più potuto tramandare le sue conoscenze né dare conforto a chi si rivolgeva a lei. Fu condannata al silenzio.
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vedi anche:
- La caccia alle streghe continua ancora…
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