Nell’Eneide è figlio dell’etrusco Mezenzio, crudele e spodestato re di Cere, Virgilio gli attribuisce doti fisiche e morali tali da renderlo degno di essere figlio di un padre migliore.
Famoso il brano della morte di Lauso, alla fine del decimo libro il giovane interviene in difesa del padre che, ferito da Enea, sta per soccombere.
La lotta che segue è assolutamente impari perchè Enea sta grandeggiando nella battaglia contro i Rutuli con un valore che, secondo molti commentatori, ne fa il corrispettivo di Achille nell’Iliade.

Wenceslaus Hollar – La lotta di Enea contro Mezenzio e Lauso – Thomas Fisher Rare Book Library – Wikipedia, pubblico dominio

Diversamente da Achille, però, Enea è prima di tutto ‘pio’ ed esita ad uccidere il giovane Lauso nonostante la pioggia di dardi con la quale i compagni di questi lo stanno attaccando, esita e lo esorta a sottrarsi al combattimento perchè comprende i suoi sentimenti.
Tuttavia il destino di Lauso è già stato scritto e le Parche, come dice Virgilio, stanno già raccogliendo i suoi ultimi fili.
Lo scatto d’ira con cui Enea lo uccide con un colpo di spada è senz’altro insolito per la figura del troiano e sembra in contraddizione con la sua consueta pietas oltre che con le parole che ha appena pronunciate ma proprio questa apparente contraddizione da il senso di un evento fatale, al quale Lauso non potrà sfuggire e che neanche lo stesso Enea può evitare.
Appena vede gli occhi del giovane morente Enea è colto da una grande commiserazione per la sua nobile vittima e mentre intorno infuria la battaglia si sofferma a rendegli onore rinunciando, in segno di rispetto, a privarlo delle armi.
Poco dopo Enea affronterà ed ucciderà Mezenzio che, folle per il dolore e per la vergogna di aver lasciato morire Lauso al suo posto, provoca un nuovo duello nonostante sia gravemente ferito.

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