Tra le antiche divinità del pantheon latino, Fortuna Primigenia occupa un posto di rilievo singolare: dea della sorte e della nascita, simbolo della potenza primordiale che genera il mondo, fu venerata come la madre di ogni realtà passata, presente e futura.
Il suo santuario più celebre sorgeva a Preneste, l’odierna Palestrina, e attirava folle da tutto il Lazio. Ogni anno, durante le feste dell’11 e 12 aprile, pellegrini e fedeli vi si recavano per chiedere responsi oracolari, nella speranza di conoscere la volontà del destino.

Santuario della Fortuna Primigenia, Museo Archeologico Nazionale di Palestrina – Wikipedia, foto di Camelia.boban, opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0
Nel tempio di Fortuna, la consultazione dell’oracolo avveniva in modo solenne e misterioso.
Un bambino, simbolo della purezza e della verità divina, estraeva da un’arca sacra delle tavolette di legno incise, le sortes, che contenevano i responsi della dea.
Questo rito, custodito con profonda venerazione, conferiva al santuario un’aura di sacralità e di potere profetico che durò nei secoli.
Fortuna era venerata come Primigenia, cioè colei che viene prima di ogni cosa, madre primordiale del mondo.
Il suo potere, rappresentato come una forza creatrice e fluida, si opponeva alla stabilità di Giove, simbolo dell’ordine e dell’autorità.
Per questa ragione, la religione ufficiale di Roma, ispirata proprio a Giove, proibiva ai magistrati di consultare l’oracolo di Preneste: troppo libera, troppo imprevedibile era la voce della dea per gli equilibri del potere.

Fortuna, inv. 2244 – Braccio Nuovo, Museo Chiaramonti – Musei Vaticani – Wikipedia, pubblico dominio.
Anche a Roma, nel mese di aprile, la dea era onorata in diverse forme:
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- come Fortuna Virile, celebrata insieme a Venere Verticordia, protettrice della purezza e della fedeltà femminile;
- come Fortuna Pubblica, venerata sul Quirinale in due templi distinti;
- e ancora come Fortuna Primigenia, in un terzo santuario, sempre sul medesimo colle.
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Si riteneva che il culto fosse stato introdotto da Servio Tullio, il sesto re di Roma, uomo che la tradizione volle dire favorito dalla dea: a lei avrebbe dedicato ventisei templi, ciascuno con un epiteto diverso, segno dell’onnipresenza di Fortuna in ogni aspetto della vita romana.
Con il Rinascimento, la figura di Fortuna tornò a vivere nell’arte e nella filosofia, assumendo molteplici volti.
Gli artisti e gli incisori del Quattrocento e del Cinquecento ne esaltarono i tratti mutevoli, seguendo quanto osservato dallo studioso Giordano Berti, che ne ha individuato le principali tipologie iconografiche:
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- Fortuna con sfera, derivata dalla greca Tyche: una fanciulla nuda in equilibrio su una sfera, sospinta da una vela, simbolo dell’instabilità del destino.
- Fortuna marina, ispirata a Iside Pelagia e Venere: la dea naviga sulle acque reggendo un timone o una vela, mentre un delfino o una conchiglia le serve da sostegno.
- Fortuna con ciuffo, erede del Kairos greco e dell’Occasio latina: la dea, alata e veloce, porta una lunga ciocca di capelli sulla fronte e la testa calva dietro — immagine del “momento opportuno” che si può afferrare solo quando arriva.
- Fortuna con cornucopia, simbolo di abbondanza: bendata, versa ricchezze da un grande corno, unendo in sé la prosperità di Opi e la generosità del mito della capra Amaltea.
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Cicerone, nel De Divinatione, narra la leggenda delle origini dell’oracolo prenestino.
Un uomo chiamato Numerio Suffustio, onesto cittadino, ricevette in sogno l’ordine di spaccare una roccia in un luogo preciso.
Nonostante le derisioni dei concittadini, obbedì al comando, e dalla pietra spezzata uscirono tavolette di quercia incise con antichi segni: le sortes della dea Fortuna.
Il luogo fu circondato da un recinto sacro, e in quel punto sorse un tempio in cui era adorata Fortuna Primigenia, raffigurata con il piccolo Giove in grembo, mentre il dio bambino tendeva le mani al seno materno.
Secondo Cicerone, dal tronco di un olivo da cui colò miele — presagio di prosperità — fu costruita l’urna che custodiva le sortes, da allora considerate strumento della voce divina della dea.
Fortuna Primigenia rappresenta l’enigma stesso della vita: la forza invisibile che muove gli eventi al di là della volontà umana.
Dea dell’origine e del caso, madre e signora del divenire, unisce in sé creazione e incertezza, nascita e destino. Nel suo sorriso bendato, l’uomo antico riconosceva la doppia faccia della sorte: colei che dona e toglie, che crea e distrugge, ma sempre secondo un ordine che nessuno può conoscere. In lei sopravvive l’idea che il divino non sia solo giustizia e ragione, ma anche mistero, libertà e movimento: l’eterno gioco della vita.
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