Tra i più antichi numi della religione romana, Luperco era una divinità rurale invocata a protezione della fertilità e delle greggi.
Il suo nome, che unisce lupus (lupo) e hircus (capro), racchiude già il senso del suo potere: lupo e pastore insieme, custode e predatore, spirito della natura ambigua e feconda.
Nel corso dei secoli, Luperco fu identificato dapprima con il lupo sacro a Marte, poi con Fauno, di cui divenne un epiteto (Faunus Lupercus), e infine con Pan, il dio greco dei boschi e dei pascoli.

Agostino Carracci – Fauno – Wikipedia, pubblico dominio.

Luperco, sotto il nome di Faunus Lupercus, rappresentava l’aspetto più selvatico e istintivo del Fauno latino, il dio dei boschi, delle sorgenti e dei sogni profetici.
Figlio, e in seguito consorte, della dea Fauna, simbolo della terra vergine e generatrice, condivideva con lei la duplice natura del divino: la purezza e l’istinto, la solitudine e il desiderio.

Raffigurato con pelli di capra, flauto e cornucopia, armato di una clava pastorale, Luperco era un dio dalla presenza rustica e sensuale.
Nel suo sguardo viveva la potenza non domata della natura, quella che feconda e spaventa allo stesso tempo.
Come Pan, era cacciatore di ninfe, signore delle voci improvvise dei boschi e delle paure notturne, quelle che i Romani chiamavano timores panici, da cui deriva l’espressione “panico”.

Luperco, tuttavia, non era solo spirito selvatico. Gli antichi gli attribuivano anche doti profetiche e poetiche: era chiamato Fatuus (da cui “fatidico”) per la sua capacità di ispirare oracoli e versi.
Le Ninfe che egli inseguiva nei boschi, spiriti delle acque e della vegetazione, dopo essere state toccate dal suo soffio divino, si trasformavano in profetesse, simili alle Sibille, e parlavano in nome della natura e degli dèi.
Si dice che a lui si debba l’invenzione dei versi saturnii, la più antica forma di poesia latina.
Luperco dunque era anche dio dell’estasi e dell’ispirazione, un mediatore tra la voce della terra e quella dell’uomo, come Pan per i Greci o Dioniso nei misteri orfici.
Nella vita quotidiana dei pastori e dei contadini romani, Fauno Lupercus era un dio benevolo, protettore dei campi e degli animali.
Le sue immagini erano dipinte nelle case, nei recinti e nei campi, a simboleggiare abbondanza, serenità e buona sorte.
Nel tempo, però, la figura del dio si trasformò: da nume agreste e benefico divenne un demone minore, relegato ai margini della religione ufficiale, più vicino al gioco e alla sensualità che alla saggezza divina.
Eppure, il suo spirito continuò a vivere nelle feste più antiche e misteriose del calendario romano.

Il Festival Lupercaliano a Roma (1578–1610 circa), disegno della cerchia di Adam Elsheimer, che mostra i Luperci vestiti da cani e capre, con Cupido e personificazioni della fertilità – Wikipedia, pubblico dominio.

Ogni anno, a febbraio, Roma celebrava i Lupercalia, rituali dedicati a Lupercus Faunus per propiziare la fertilità umana e animale.
La cerimonia aveva luogo presso una grotta sacra ai piedi del Palatino, ritenuta il luogo in cui la lupa aveva allattato Romolo e Remo, i fondatori di Roma.
Durante il rito, i sacerdoti detti Luperci sacrificavano capre e correvano per le strade colpendo con strisce di pelle le donne che incontravano: un gesto simbolico per trasmettere fecondità e fortuna.
Era un momento di libertà e rinnovamento, in cui il popolo tornava alle origini, celebrando il potere primordiale della vita.

 

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