Etalide è una figura affascinante della mitologia greca, protagonista delle Argonautiche, il celebre poema epico tramandato da diversi autori antichi, tra cui Apollonio Rodio (III sec. a.C.), Igino e Pseudo-Apollodoro.

Gli Argonauti erano gli eroi guidati da Giasone nella leggendaria spedizione alla conquista del vello d’oro, un’impresa ambientata nelle lontane terre della Colchide (l’attuale Georgia occidentale), e datata, secondo la tradizione mitica, intorno al X secolo a.C.
In questi racconti, Etalide si distingue come valoroso guerriero e messaggero. È grazie alla sua abilità e alla fiducia di Giasone che la spedizione riesce a superare con successo sia la prima tappa, sull’isola di Lemno, sia l’ultima, a Ea, capitale della Colchide.

Ma la figura di Etalide assume un significato ancora più profondo nella tradizione filosofica pitagorica. Secondo Eraclide Pontico e altri autori che si occuparono della metempsicosi, la dottrina della trasmigrazione delle anime, Etalide era figlio del dio Hermes, messaggero degli dèi, guida delle anime nell’aldilà, e patrono della memoria, della scrittura e delle Muse.

Giulio Parigi – Flotta reale degli Argonauti (sfilata sull’Arno in occasione delle nozze di Cosimo de ‘Medici con Maria d’Austria 1608) – Arolsen_Klebeband_15_181, dettaglio raffigurante Eurito, Echione e Etalide condotti da Mercurio – Wikipedia, pubblico dominio

Hermes, come dono divino, concesse al figlio la possibilità di esprimere un solo desiderio, con l’unica eccezione dell’immortalità. Etalide, con astuzia, chiese di poter conservare intatta la memoria anche dopo la morte. Fu una scelta che gli garantì un dono unico: la capacità di ricordare ogni dettaglio delle vite precedenti, e di trasmettere questa memoria anche nelle sue reincarnazioni successive.

Museo Archeologico di Milano. Testa di Mercurio (sec. II d.C.). Foto di Giovanni Dall’Orto, 13 marzo 2012. – Wikipedia, pubblico dominio

In questo modo, pur senza ottenere l’immortalità fisica, Etalide acquisì una forma di eternità attraverso la conoscenza e la memoria. Così, aggirando il limite posto da Hermes, entrò in possesso di una sapienza divina.

Nella filosofia pitagorica, la memoria è considerata la prima e più alta forma di conoscenza. Gli allievi della scuola di Pitagora dedicavano grande attenzione agli esercizi mnemonici, poiché ritenevano che fosse attraverso il ricordo, e il riconoscimento delle vite passate, che l’anima poteva liberarsi dal ciclo delle rinascite e accedere a una comprensione più alta e consapevole della realtà.

La memoria, dunque, diventa strumento per superare la morte, accesso alla conoscenza intuitiva dell’anima: una verità non comunicabile attraverso parole, ma solo attraverso l’esperienza interiore.

Anche Søren Kierkegaard, nel suo Aut aut (1843), riflette su questo passaggio. In una delle sue celebri finzioni filosofiche, un personaggio riceve la stessa offerta fatta a Etalide: poter scegliere tra memoria e un’altra facoltà fondamentale. Ma invece della memoria, sceglie il riso.

Il riso, nella visione di Kierkegaard, è il modo con cui l’essere umano affronta la tragicità della vita. Ridere delle proprie miserie e dei dolori del mondo diventa una scelta filosofica: una risposta ironica all’assurdità dell’esistenza, che permette di convivere con il dramma umano senza esserne annientati.

Dove Etalide sceglie la sapienza della memoria, il personaggio kierkegaardiano sceglie la leggerezza del riso. Entrambi, a modo loro, indicano vie diverse per rapportarsi al mistero della vita e della morte.

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