La visione più fondata, quando si parla del mito greco, è quella che pone l’accento sulla unità del flusso mitografico e mitologico nell’area mesopotamico-mediterranea.
Su tale provenienza, che rinvia ad una unità culturale mediterranea, Erodoto si sofferma a lungo. Né gli è ignota la tradizione relativa ai viaggi «d’istruzione» in Egitto compiuti da grandi figure della grecità arcaica quale Ecateo.
Nesso di «apprendistato» nei confronti dell’antico Egitto che Platone enfatizzerà nel Crizia indicando in Solone un tramite illustre, e approdando alla celebre formulazione secondo cui i Greci sarebbero stati i «fanciulli» del mondo mediterraneo, riscopritori recenti di una sapienza antichissima.
Accusa che fa un certo effetto da parte di chi così largamente risentiva dell’eredità greca e orientale come, per l’appunto, il cristianesimo.
La mitologia cristiana, dunque, nel suo denso e alquanto confuso tessuto sincretistico, chiude il cerchio di questa storia di una religiosità di lunghissima durata incominciata molto prima dei Greci, e ramificatasi poi in moltissimi rivoli, eresie ed islamismo inclusi.

Giulio Romano – L’Assemblea degli Dei attorno al Trono di Giove – Volta, Sala dei Giganti, Palazzo Te Mantova (Wikipedia – Pubblico dominio)
Collocare dunque i Greci come un «inizio» è operazione moderna, che ha una salda tradizione alle spalle ma che va intesa per l’appunto come una proiezione moderna, come il risultato dell’«idea di passato» che i moderni occidentali hanno costruito (e che rischiano talvolta di dimenticare frastornati da un’idea banale e incolta di modernità). Ben scrive dunque Giulio Guidorizzi nell’Introduzione a Il mito greco (vol. I, Meridiani Mondadori, pp. 1.526, 55): «I miti greci hanno un carattere archetipico, perché presentano nella loro essenzialità gli elementi originari del racconto sacro»: purché sia chiaro che quello è, per dirla alla maniera degli scolastici, un inizio per noi piuttosto che un inizio in sé. A ragion veduta, poi, Guidorizzi delinea la continuità pagano-cristiana quando osserva che «malgrado tutto i miti greci restano vivi sotto la superficie (…) pronti a manifestarsi appena qualcuno li cerca».
Per non parlare delle risse, passioni, sofferenze, stanchezze di cui questi dei sono partecipi, pur immortali. Nel libro XV dell’Iliade, Iris, messaggera di Zeus, si reca da Poseidone per trasmettergli l’ordine perentorio di Zeus di non intervenire attivamente a favore degli Achei. «Se non darai retta al comando – gli dice – verrà lui a combatterti quaggiù». Poseidone, furibondo, rievoca che le tre parti del mondo erano state tirate a sorte tra i tre figli di Crono, e a lui era toccato «il mare canuto», a Zeus «il cielo fra le nuvole e l’etere», mentre la terra doveva essere «comune». Dunque qui Zeus sta forzando la mano, ma Poseidone, pur mentre si sottomette, dichiara che nel cuore gli sta entrando «dolore tremendo» e comunque manda a dire a Zeus che, se Troia si salverà, deve sapere che tra loro ci sarà «insanabile collera» (si legga questo brano, di straordinaria importanza, nel volume di cui qui discorriamo, alle pp. 55-56).
Per i cristiani il problema è insolubile (o solubile con qualche sofisma intorno al male a fin di bene).
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