Abari, noto anche come Abaride, fu un celebre indovino, taumaturgo e sacerdote di Apollo, la cui figura è leggendaria ma potrebbe essere realmente vissuto tra il VII e il VI secolo a.C.

Divinità principale degli Iperborei: Apollo citaredo, trovato presso le Scalae Caci, Antiquarium del Palatino – Wikpipedia – Foto: Sailko, opera propria rilasciata con licenza CC BY 3.0
Le testimonianze di Erodoto, Pindaro e Platone lo collocano nelle remote terre dell’Iperborea, un regno mitico situato all’estremo nord, dove egli avrebbe appreso e perfezionato le sue doti curative.
La leggenda narra che, in seguito a un poema celebrativo sul viaggio di Apollo verso l’Iperborea, Abari fu scelto come primo sacerdote di Apollo Iperboreo.
Il dio, in segno di approvazione, gli donò lo spirito profetico e una freccia d’oro, simbolo del suo potere: secondo alcune versioni, quella freccia gli permetteva di volare, consentendogli di percorrere la Grecia per guarire i malati, rifiutando ogni contatto con il cibo.
Platone, nel dialogo “Carmide” (158C), lo include tra i “medici Traci”, coloro che praticavano una medicina volta non solo alla cura del corpo, ma soprattutto dell’anima, attraverso incantamenti noti come “epodai”.
Anche il lessico Suda ricorda Abari, descrivendolo come membro di una delegazione ufficiale inviata dalla terra degli Iperborei ad Atene in occasione della terza Olimpiade, e attribuendogli numerose opere: dagli Oracoli Scitici in esametri, a una teogonia in prosa, fino a trattati sulle purificazioni e un poema dedicato ad Apollo in terra iperborea.
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Iperborea
Continente artico sulla mappa di Gerardus Mercator del 1595. – Wikipedia, pubblico dominio
Il mito dell’Iperborea, invece, si distingue per una prospettiva insolita: mentre molte narrazioni antiche dipingono il Nord come teatro di catastrofi naturali che segnano il declino culturale e spirituale, in questo caso il Nord viene celebrato come fonte di civiltà e rinascita spirituale.
Secondo tale visione, i nostri antenati ariani non sarebbero rimasti intrappolati in una condizione di decadimento, ma avrebbero scelto di migrare da questa regione, spinti da un cambiamento climatico, proprio nel momento in cui la loro cultura raggiungeva l’apice.
Questo concetto trova riscontro in opere come la “Rivolta contro il mondo moderno” di Julius Evola e in studi più tecnici, come quello di Jean Haudry, che propone l’origine artica degli indoeuropei.
La tesi, avanzata da Serge Hutin, dell’esistenza di un continente iperboreo sommerso – simile all’Atlantide – suggerisce che le isole periartiche, come le Svalbard e Jan Mayen, possano essere i residui di quel mondo perduto, inserendosi così nel più ampio paradigma dei “continenti perduti”.
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