Tra le figure più complesse e oscure della mitologia greca, Medea occupa un posto speciale: è maga, principessa, madre e vendicatrice. La sua storia è un viaggio attraverso amore e tradimento, astuzia e furia, potere e perdita.

Medea è figlia di Eeta, re della Colchide, e della ninfa Idia. La sua terra natale, ai confini del mondo conosciuto, è una terra di misteri e sortilegi, e lei stessa è dotata di poteri magici, eredità di sangue divino e conoscenze arcane.
Il suo destino cambia quando giunge nella Colchide la nave degli Argonauti, guidati da Giasone, eroe greco in cerca del leggendario Vello d’Oro.

Medea (1866-1868), opera di Anthony Frederick Augustus Sandys. – Wikipedia, pubblico dominio.

Innamorata di Giasone, Medea decide di tradire la propria famiglia per aiutarlo. Lo fa a caro prezzo: fugge con lui e per rallentare l’inseguimento del padre, uccide il fratello Apsirto, facendone a pezzi il corpo e gettandolo in mare. Un gesto che mostra sin da subito quanto lontano sia disposta a spingersi per amore.
Una volta in Iolco, aiuta Giasone a vendicarsi dello zio Pelias, usurpatore del trono, usando la magia per manipolare le figlie dell’uomo fino a condurle, inconsapevoli, al suo assassinio.

Evelyn De Morgan – Medea – Wikipedia, pubblico dominio

Ma l’omicidio la rende invisa al popolo. Medea e Giasone si rifugiano a Corinto, ospiti del re Creonte

A Corinto, Medea diventa madre di due figli, ma la felicità è effimera.
Giasone la ripudia per sposare Creusa (o Glauce), figlia del re. Una mossa politica che spezza completamente l’animo di Medea.
Ferita, umiliata, abbandonata, architetta una vendetta brutale: dona alla rivale una veste incantata che, non appena indossata, prende fuoco, uccidendo Creusa e il padre Creonte, accorso per salvarla.

Ma non basta, per infliggere a Giasone il dolore più profondo, Medea uccide i propri figli. Li abbraccia, li guarda, poi li elimina con fredda determinazione, lasciando il marito senza eredi, senza amore, senza vendetta possibile.

Questa terribile scena è al centro delle tragedie di Euripide e Seneca, dove Medea incarna la trasformazione estrema: da donna ferita a mostro lucido e consapevole, guidato da un furore distruttivo. Non è più la maga innamorata, ma una figura tragica e sovrumana, oltre il bene e il male.

Il suo nome, Medea, deriva dal greco medomai, “pensare, architettare”, a indicare una mente astuta, razionale. Eppure, proprio quella lucidità viene travolta dalla passione, trasformandola in strumento di morte.

Medea non è semplicemente una “cattiva“. È un personaggio archetipico, simbolo della donna ferita, dell’intelligenza sacrificata, della furia che scavalca la ragione.
Nel corso dei secoli ha ispirato letteratura, teatro, cinema, musica. È dea e demone, madre e carnefice, vittima e carnefice insieme.

Il suo mito interroga ancora oggi le emozioni umane più profonde: fino a dove può spingersi l’amore quando si trasforma in odio?

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