
Decorazione su un vaso attico a figure rosse raffigurante Eurinome, Himeros, Ippodamia, Eros, Iaso e Asteria. – Wikipedia, pubblico dominio
In tempi antichi, quando il mondo era giovane e le acque scorrevano pure come la voce degli dèi, una delle figlie di Oceano e Teti nacque tra le correnti e i riflessi argentei del mare. Si chiamava Eurinome, e il suo nome danzava sul vento come il profumo dei pascoli che le erano sacri. Oceanina tra le oceanine, Eurinome era la dea dei prati e dei pascoli fioriti, colei che donava respiro e bellezza alla terra bagnata dalle acque primordiali.
Da un’unione con Zeus, il re degli dèi, Eurinome diede alla luce le Cariti, le tre Grazie, spiriti divini della bellezza, del fascino e dell’eleganza. Secondo Apollodoro, forse anche Asopo, il dio fluviale, era figlio suo, ma su questa nascita le voci erano discordanti, e come spesso accade nel mondo antico, la verità si perde tra le pieghe del mito.
Un’altra pagina della sua leggenda si aprì quando il giovane Efesto fu scacciato dall’Olimpo. Era stato Hera, sua madre, a gettarlo giù, vergognandosi della sua deformità. Ma due dee si presero cura di lui: Eurinome e Teti. Fu sulle sponde di Oceano, il grande fiume che abbracciava la Terra, che lo allattarono, lo nutrirono e gli offrirono rifugio. Lì, tra le acque sacre, Efesto trovò una nuova culla, lontana dall’ira degli dèi e vicino al cuore di chi sapeva amare senza giudicare.

Incisione di Tommaso Piroli su disegno di John Flaxman. – Eurinome (a destra) e Teti con Efesto infante ed Oceano in tutta la sua grandezza – Wikipedia, pubblico dominio
Secoli dopo, il viaggiatore e scrittore Pausania raccontò di una curiosa usanza tra gli abitanti di Figaleia, in Arcadia. Essi credevano che Eurinome non fosse altri che un nome segreto di Artemide, e solo una volta all’anno aprivano il santuario a lei dedicato, per onorare il giorno in cui Efesto fu raccolto e salvato.
Ma c’era un mistero che confondeva anche il saggio Pausania: l’antico simulacro della dea – uno xoanon – mostrava Eurinome con il corpo di pesce al posto delle gambe. Come poteva dunque essere Artemide, dea dei boschi e della caccia? No, ragionava Pausania, quell’essere apparteneva al mare. Figlia di Oceano, certo. E abitante delle acque.
Il culto di Eurinome era legato ai fiumi. Ancora oggi, Pausania scrive, c’era chi la venerava là dove il Neda e il Lymas si incontravano, come se la loro unione fosse un’eco della sua presenza, un sussurro divino che scorreva ancora tra le rocce e le correnti.
Ma attenzione a non confonderla con la sua omonima: un’altra Eurinome, ben più antica e maestosa, moglie di Ofione e titanide, regina dei cieli prima ancora che Zeus salisse al trono degli dèi.
Così, tra i flutti e le nebbie della leggenda, la figura di Eurinome ci appare duplice e sfuggente: dea della terra fiorita e dell’acqua viva, nutrice, madre e creatura marina. Come ogni divinità antica, anche lei vive tra i simboli e i segreti, là dove i miti si intrecciano con la memoria dell’uomo.
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