Statuetta in bronzo del dio Apis – Museo Gregoriano Vaticano – Città del Vaticano – Wikipedia, pubblico dominio

Nell’antico Egitto, il sacro conviveva con il quotidiano in modi che ancora oggi riescono a stupirci. Tra le figure più enigmatiche e affascinanti del pantheon egizio c’è quella del dio Api, una divinità vivente, venerata non in forma astratta ma incarnata,  letteralmente, in un toro scelto con cura e venerato come manifestazione del divino.

Una grande statua di Apis, il toro divino dell’antica capitale egiziana Memphis – Wikipedia, foto di Carolyn Whitson rilasciata con licenza CC BY-SA 4.0

Il toro Api non era un semplice animale sacro: era considerato la forma terrena del dio creatore Ptah, uno dei più antichi e potenti dei dell’Egitto. A Menfi, centro religioso e politico di grande rilievo, il culto di Api rappresentava un punto d’incontro tra il mondo visibile e quello invisibile. Il toro era visto come l’energia vivente della creazione, un intermediario tra gli uomini e le divinità.

Riconoscere un Api non era cosa semplice. Doveva avere precise caratteristiche: un corpo interamente nero, una macchia bianca a forma di triangolo sulla fronte, e un’altra, simile a una mezzaluna, sul fianco. Si diceva che fosse stato concepito da un raggio di luce, segno inequivocabile della sua origine divina.

Ma la cosa più affascinante è che il toro Api non era un simbolo astratto, bensì una presenza concreta e viva. I sacerdoti osservavano ogni suo gesto con profondo rispetto: il suo modo di muoversi, di mangiare o rifiutare il cibo veniva letto come un presagio, un messaggio degli dei. Bastava un segnale per predire eventi futuri, annunci di benessere o, al contrario, premonizioni di morte.

Api era spesso raffigurato con un disco solare o lunare tra le corna, sormontato dall’Ureo, il cobra simbolo del potere regale. Talvolta, lo si vede con le ali della dea avvoltoio distese sulla schiena, in segno di protezione divina. Anche la sua coda, con i crini divisi in due ciuffi, aveva un significato simbolico: rappresentava l’unione del Basso e dell’Alto Egitto.

Nel tempo, Api non restò confinato al ruolo di simbolo della fertilità o messaggero di Ptah. Fu associato a Osiride, dio della morte e della resurrezione. Alla morte, ogni toro Api veniva identificato con Osiride-Api, un’entità divina capace di guidare i defunti nell’aldilà. Curiosamente, a presiedere simbolicamente alla sua nascita era Iside, la grande madre divina, sorella e sposa di Osiride.

Sebbene Api sia il toro sacro più famoso, non fu l’unico. Anche ad Eliopoli esisteva un culto simile: il toro Mnevis (o Merwer), associato al dio solare Ra-Atum. Come Api, anche Mnevis era considerato un messaggero tra cielo e terra, incarnazione vivente della divinità.

Il culto di Api ci parla di un tempo in cui il divino si manifestava attraverso la natura, e dove un animale poteva essere ponte tra l’uomo e l’eternità. Un tempo in cui osservare un toro non era solo un atto religioso, ma un vero e proprio incontro con il mistero della creazione.

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